Nel nome di Bruno: l’epopea di Conti e Giordano
A cavallo tra gli anni 70’ ed 80’ il calcio romano viveva un periodo di transizione; un momento durante il quale le due squadre della Capitale, partendo da presupposti diversissimi tra loro, si trovarono spesso a lottare esclusivamente per la supremazia cittadina; una, la Lazio, prigioniera di un sogno durato troppo poco ed alle prese con un presente ricco soltanto di scandali e disgrazie, l’altra, la Roma, che invece nel sogno stava per entrarci, sia pure tra mille difficoltà e peripezie.
In quegli anni, di tanto in tanto illuminati da una stagione migliore delle altre, le vere soddisfazioni per Roma e Lazio provenivano soprattutto dal settore giovanile, capace, allora come ora, di sfornare quasi ogni anno “campioncini” in erba in grado di regalare ai tifosi almeno la speranza di un futuro migliore.
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Nel nome di Bruno: l’epopea di Conti e Giordano
Tra questi, due in particolare mostrarono lampi di classe cristallina che li portò nel tempo, con percorsi differenti e traiettorie a volte diametralmente opposte, sia dentro sia fuori dal campo, a raggiungere le più alte ribalte del calcio italiano ed internazionale; due ragazzi, poi uomini, con poco in comune, a parte l’abilità calcistica ed un nome semplice semplice, di sole cinque lettere: Conti e Giordano, nel nome di Bruno.
Bruno Giordano
Pur anagraficamente più giovane, essendo nato a Roma, nel rione Trastevere, il 13 agosto del 1956, Bruno Giordano è il primo dei due a farsi notare sul proscenio della massima serie, esordendo in campionato il 5 ottobre del 1975 a 19 anni, in Sampdoria – Lazio; la gara, finisce 1-0 per i biancocelesti ed a siglare la rete decisiva, all’89° minuto, su passaggio del suo idolo da ragazzino, Giorgio Chinaglia, è proprio il giovane attaccante trasteverino, lanciato titolare con la maglia numero 11 da Corsini, allenatore mai amato nella Capitale ma al quale va ascritto almeno questo merito.
Gli esordi
Giordano inizia la trafila in biancoceleste a 13 anni, quando “Flacco” Flamini, argentino naturalizzato italiano e vecchia gloria laziale, lo scopre tra i vicoli del suo quartiere natale e lo porta al campo di Tor di Quinto; con la Primavera l’attaccante vince lo scudetto di categoria nel 1975 – 76 in una squadra che lo vede brillare insieme ai compagni Montesi, Agostinelli, Di Chiara e soprattutto Lionello Manfredonia, con il quale dividerà a lungo successi ed amarezze. Bruno è impiegato soprattutto da ala destra ma, grazie alle sue straordinarie qualità tecniche, spesso giostra anche più dietro, da mezzala o rifinitore.
Solido nonostante una statura non proprio da gigante, Giordano calcia con estrema precisione e potenza sia col destro sia col sinistro; gioca sempre a testa alta e petto in fuori, con un’eleganza ed una coordinazione nei movimenti da prendere ad esempio per qualsiasi giovane calciatore.
La maglia numero 9 e la Nazionale
L’anno successivo Maestrelli, tornato al timone della prima squadra nonostante già minato dalla malattia, lo promuove titolare assegnandogli la maglia numero nove lasciata libera da Chinaglia, emigrato negli States. La responsabilità è grande ma Giordano non ha difficoltà a prendersi sulle spalle la squadra, che, anche grazie alle sue reti, centra una soffertissima salvezza.
Nonostante la squadra, passata nel frattempo alla conduzione tecnica di Vinicio e poi a Lovati, alterni stagioni discrete, con qualificazioni alla Coppa Uefa, ad altre da dimenticare, il talento di Giordano non passa inosservato, tanto che anche il CT Enzo Bearzot lo chiama in Nazionale, nella quale esordisce il 21 dicembre 1978 sostituendo Graziani in una gara amichevole contro la Spagna. In quella stessa stagione il centravanti laziale vince la classifica dei cannonieri di serie A realizzando 19 reti. E’ il suo momento migliore con la maglia della Lazio ed i più grandi club italiani avanzano offerte per il suo acquisto e per quello di Manfredonia.
Ma i “gioielli”, tra mille sacrifici economici del patron Lenzini, restano a Roma, ed ogni estate la loro permanenza rappresenta per la compagine capitolina il vero colpo del proprio mercato. Giordano è ormai considerato, con Paolo Rossi, il più forte attaccante del campionato e la coppia formata da lui e “Pablito” fa sognare per la Nazionale un Europeo da protagonista, ma quando mancano pochi mesi all’esordio nella massima competizione continentale, entrambi vengono coinvolti e travolti dal deflagrare del “calcio scommesse”; è il marzo del 1980 e Giordano, al pari di Rossi e di tanti altri calciatori, tra i quali anche il “gemello” Manfredonia, viene addirittura arrestato in campo e poi squalificato per tre anni e mezzo!
La squalifica e la retrocessione in serie B
La Lazio non esce indenne dal polverone ed addirittura viene retrocessa in serie B. E proprio dalla serie cadetta Giordano, due anni dopo (grazie alla riduzione della pena seguita al successo azzurro in Spagna), ricomincia a “mietere vittime” tra i portieri avversari; sebbene in molti (anche la stessa Roma di Dino Viola) lo avessero cercato anche nel periodo oscuro, il centravanti laziale decise infatti di “pagare il suo debito” rimanendo in biancoceleste e riportando la squadra in A realizzando 18 reti che gli valsero anche il titolo di capocannoniere della serie B.
L’infortunio e la salvezza dalla retrocessione
Il ritorno dagli Usa di Giorgio Chinaglia nelle vesti di presidente, lo induce a restare nella Capitale nella speranza di raggiungere traguardi importanti con la squadra del cuore; nella stagione 83-84 però le cose vanno male: la Lazio si salva dalla retrocessione soltanto all’ultima giornata e Giordano vive una stagione soffertissima subendo ad Ascoli (fallaccio di Bogoni) il più grave infortunio della sua carriera che lo tiene lontano dai campi di gioco per quattro mesi; il centravanti è comunque decisivo per la salvezza realizzando 3 reti nelle ultime 4 giornate.
L’anno dopo è un inferno: in estate al termine di una lunga e sofferta trattativa, piena di colpi di scena, Briaschi rifiuta la Lazio e Giordano dice di no al trasferimento alla Juventus. Chinaglia, che contava sulla sua cessione per sistemare i debiti della società, se la lega al dito e tra i due, ormai ex amici, cala il gelo. La società, che praticamente non esiste, precipita in un vortice che la porterà l’anno successivo a sfiorare il fallimento, mentre la squadra, nonostante una rosa comunque competitiva con almeno 6/7 elementi di caratura internazionale, inanella una serie infinita di risultati negativi e finisce ultima in classifica con soli 15 punti, tornando in serie B.
Le stagioni al Napoli e lo scudetto con Maradona
Giordano, mai apparso al meglio della forma, stavolta non può non partire ed accetta la corte di Allodi e Ferlaino che lo portano al Napoli, a formare con Maradona una straordinaria coppia che s’intende a meraviglia parlando sul campo lo stesso linguaggio fatto di classe e fantasia. Dopo un anno di rodaggio (con 10 reti realizzate in campionato), il Napoli nel 1987 conquista il suo primo scudetto e Giordano, con goal ed assist, è un assoluto protagonista formando con Maradona e Carnevale la famosa MA.GI.CA.
Gli azzurri vincono anche la Coppa Italia e Giordano con 10 reti è il capocannoniere della manifestazione. L’idillio con Napoli finisce però nella primavera del 1988 quando la squadra rompe con il tecnico Ottavio Bianchi e la società lo allontana ritenendolo uno dei “sobillatori” dello spogliatoio.
Gli anni ad Ascoli
A 32 anni Giordano riparte dalla provincia trasferendosi proprio ad Ascoli, la città nella quale aveva rischiato d’interrompere la carriera; qui vive una seconda giovinezza andando nuovamente in doppia cifra (tanto che si riparla di lui anche per la Nazionale) e guadagnandosi il passaggio al più ambizioso Bologna; in maglia felsinea resta una sola stagione (con 7 reti), per fare poi ritorno all’Ascoli, nel frattempo retrocesso in cadetteria. Qui chiude la sua carriera di calciatore, di nuovo in serie A, con sole 17 presenze e due reti.
Singolare e toccante quanto accade a Bologna il 30 dicembre 1989: è proprio lui infatti ad assistere per primo il suo ex compagno Lionello Manfredonia (con il quale aveva poi interrotto i rapporti), accasciatosi al suolo per un arresto cardiaco.
Attaccati gli scarpini al chiodo, dopo una parentesi nel mondo del calcio a cinque con la maglia del Torrino, diventa allenatore con alterne fortune.
Parte dal Monterotondo, in Serie D, ed arriva fino alla serie A con il Messina, ma viene esonerato prima del termine della stagione. Anche le esperienze con Pisa e Ternana non sono positive al pari di quella tentata in Ungheria con il Tatabánya.
Al mestiere di tecnico alterna, come molti altri suoi colleghi, quello di commentatore Tv, per le reti Rai e Mediaset e su alcune emittenti radiofoniche romane (nelle quali si occupa principalmente della “sua” Lazio).
Attualmente ricopre la carica di Direttore Generale del Gragnano, società campana che milita in serie D.
Nazionale – il rapporto di Giordano con la Nazionale non è dei più felici; dopo un’esperienza positiva nella Under 21 di Vicini (anche come “fuori quota”) nella quale totalizza 8 reti in 16 presenze, Giordano fa appena in tempo ad assaggiare la maglia della rappresentativa maggiore in quanto “spazzato” via dal ciclone “scommesse”; poi l’infortunio ed alcune incomprensioni con il Ct Bearzot ne rinviano sempre il ritorno; chiude con 13 presenze ed un goal, realizzato il 5 ottobre 1983 contro la Grecia; bottino davvero misero per un calciatore delle sue potenzialità tecniche.
Vita Privata – dopo un’infanzia passata tra i vicoli di Trastevere, Bruno Giordano fatica a scrollarsi di dosso l’etichetta di “bullo” che gli viene presto affibbiata anche per la naturale sfrontatezza con la quale affronta avversari e compagni di squadra; alla sua immagine non giova certamente il suo coinvolgimento (mai del tutto chiarito e per il quale il Tribunale Civile lo assolve…) nel primo caso di Totonero del nostro movimento calcistico, ne tantomeno le vicissitudini della sua ex moglie, vicina per anni ad un boss della Banda della Magliana, e della sorella Silvia, arrestata per detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti.
“Non è mai stato fortunato, Bruno, con le sue donne — dichiara l’avvocato Titta Madia, che difese a suo tempo Silvia Giordano – lui ha fatto di tutto per aiutarle. Ma non c’è mai riuscito, purtroppo”. Oggi Bruno ha una nuova famiglia e la protegge come può dal passato che di tanto in tanto riaffiora e lo perseguita.
Bruno Conti
Se quella di Giordano parte da uno dei quartieri storici della Capitale, la storia di Bruno Conti arriva da più lontano, anche se non troppo, e passa addirittura per un altro sport: Conti nasce infatti il 13 marzo del 1955 a Nettuno, città di mare a meno di 70 chilometri dalla Città Eterna e tempio italiano del Baseball, che vanta la squadra più titolata d’Italia e vincitrice anche di alcune Coppe d’Europa.
Gli esordi
Bruno non sfugge al fascino del “diamante”, anzi viene ben presto considerato una vera promessa dello sport cittadino, tanto da arrivare anche ad esordire, giovanissimo, in prima squadra e da attirare l’attenzione del Santa Monica, che arriva a chiederne il trasferimento in America per farne un grande campione; ma il piccolo Conti, di origini umili e poco incline allo studio, ha un’altra passione in fondo al cuore e quando può scorazza per le strade di Nettuno con un pallone in mezzo ai piedi. La classe è da subito evidente, specie quel suo piede sinistro, piccolo e fatato, col quale sembra poter fare davvero di tutto.
Ciononostante, al calcio, quello vero, arriva piuttosto tardi: ha già 18 anni, infatti, quando, dopo una serie di provini andati male con Bologna, Roma e Lazio, per via di quel fisico così minuto e della statura tutt’altro che da corazziere, la Roma ci ripensa e Trebiciani lo porta al “Tre Fontane”, impianto dell’Eur dove all’epoca (siamo nella prima metà degli anni 70’) si allenano i giallorossi.
Abilissimo nel dribbling, fondamentale nel quale a volte s’intestardisce anche troppo (“ero innamorato del pallone, avrei dribblato pure i pali della porta”…), Conti è un folletto irrefrenabile che corre su tutto il fronte offensivo, indossa la maglia numero 7, tipico dell’ala destra, ma opera spesso sulla fascia opposta, liberandosi al tiro col suo piede preferito o confezionando cross al bacio per i suoi compagni di reparto. Nonostante la statura è molto potente nelle sue conclusioni, alle quali riesce a dare effetti difficili da prevedere dai portieri avversari, anche se non sarà mai un bomber, bensì una vera fucina di assist e fantasia.
La Roma di Liedholm
Al primo anno, anche grazie al suo apporto, la Primavera vince lo scudetto e Liedholm, che di giovani se ne intende, non esita a portarlo in prima squadra facendolo esordire contro il Torino il 10 febbraio del 1974; l’anno dopo le presenze diventano 3 ma l’ambiente giallorosso è difficile per un giovane alle prime armi, sia pure di gran talento, e così Bruno viene spedito a farsi le ossa al Genoa, in serie B. Qui, sotto l’abile e saggia guida di Gigi Simoni, il mago delle promozioni, Conti disputa una stagione straordinaria collezionando 36 presenze “condite” da 3 reti ed innumerevoli assist per il centravanti rossoblù, Roberto Pruzzo, con il quale instaura una solida amicizia condividendone anche l’esperienza di leva.
Il bomber di Crocefieschi infila 18 palloni nelle reti avversarie e anche grazie alla collaborazione di Conti diventa il capocannoniere della serie B. Il Genoa vince il campionato e torna nella serie maggiore mentre il giovane tornante viene richiamato alla base; a Roma tuttavia, nonostante un impiego più continuo, non riesce ad imporsi per il suo reale valore ed accetta quindi di buon grado di tornare in Liguria quando la dirigenza genoana lo pretende in cambio dell’acquisto di Pruzzo.
La coppia Conti-Pruzzo
Sembra l’epilogo amaro e malinconico della sua avventura in giallorosso, la solita storia del talento inespresso, della promessa non mantenuta…ma il Barone Liedholm non lo ha dimenticato, e, tornato sulla panchina romanista, decide di ricomporre la coppia Conti –Pruzzo, segnando le loro fortune e quella della Roma che di li a poco, stagione 1982-83 tornerà ad essere Campione d’Italia dopo 60 anni!
Campione d’Italia con la Roma nel 1982-83
Conti, con Falcao, Ancelotti, Di Bartolomei e lo stesso Pruzzo, costituisce il nucleo storico di quella squadra che vince anche per cinque volte la Coppa Italia e, nel 1984 arriva a toccare il punto massimo della sua storia, disputando, proprio all’Olimpico, la finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool. L’esito non è quello sperato e Conti, con Graziani, è uno dei protagonisti più sfortunati della serata, calciando sulla traversa uno dei rigori che portano il titolo nelle mani degli inglesi.
La finale di Coppa Campioni del 1984 contro il Liverpool
Tra alti e bassi la sua storia nella Roma prosegue fino al 1991 quando, vittima di un infortunio e poi delle forti incomprensioni con il tecnico Bianchi, disputa una sola gara (di Coppa Uefa) in tutta la stagione; nel giorno dell’addio, il 23 maggio 1991, sono più di 80.000 i cuori giallorossi che vanno a salutarlo, superando le presenze registrate il giorno prima per la finale di Uefa persa contro l’Inter. Questo dato la dice lunga sull’amore che il popolo romanista ha riversato nei confronti del suo “figlioccio” prediletto.
La fine della carriera
Un amore chiaramente ricambiato perché Bruno Conti non solo rifiuta, nei suoi anni migliori, la corte degli squadroni del nord e del Napoli di Maradona (che lo vorrebbe al suo fianco reputandolo uno dei pochi calciatori alla sua altezza), ma si lega indissolubilmente al club anche nel dopo carriera, divenendo uno straordinario scopritore di talenti nelle vesti di Responsabile del Settore Giovanile, incarico ricoperto fino a due anni fa. Nella stagione 2004-05, dopo le dimissioni del tecnico Luigi Delneri assume per alcuni mesi la guida della prima squadra, portandola in finale di Coppa Italia e garantendole l’accesso alla Coppa UEFA.
Il 20 settembre 2012 è stato tra i primi 11 giocatori ad essere inserito nella hall of fame ufficiale della Roma.
Nazionale – al contrario di Giordano, Bruno Conti scrive delle pagine storiche anche in maglia azzurra, con la quale conquista il titolo di Campione del Mondo in Spagna nel 1982. Bearzot lo chiama per la prima volta nel 1980, inserendolo gradualmente al posto di Franco Causio e preferendolo all’altro talento capitolino Vincenzo D’amico, dotato di altrettanta fantasia ma meno continuo e poco propenso al sacrificio. In complesso totalizza 47 presenze con 5 reti all’attivo.
Decisivo in molte circostanze, Conti è superlativo nel mondiale spagnolo guadagnandosi l’appellativo di “MaraZico”! Pelé lo definisce il “più brasiliano degli europei” e lo elegge miglior giocatore della competizione, anche se il Pallone d’oro finisce nelle mani di Paolo Rossi. Azione simbolo di quella straordinaria campagna azzurra l’azione del raddoppio di Rossi alla Polonia, con “Pablito” che s’inginocchia per deporre in rete il pallone “al bacio” servitogli dal Campione di Nettuno.
Vita Privata – Figlio di Andrea, muratore, Bruno aiuta l’economia familiare consegnando bombole del gas in giro per Nettuno. Prima di diventare Marazico viene soprannominato il gnappetta per il suo metro e sessantanove d’altezza, ed il Glorioso come il lanciatore mancino di baseball, Giulio Glorioso, suo idolo dell’infanzia. Sposato con Laura, conosciuta quando da bambino lavorava nel negozio di casalinghi della zia, ha due figli: Daniele (Nettuno 9 gennaio 1979) che esordì in serie A con la Roma il 24 novembre 1996, ed è stato capitano del Cagliari, ed Andrea (Roma 23 agosto 1977) meno costante del fratello e protagonista all’estero e nelle serie minori sempre con squadre di secondo piano.
A lui è stato simpaticamente dedicato un libro, che poi è anche la sua prima biografia, dal titolo Essere Bruno Conti, scritta da Gabriella Greison. Nel 2011 ha inoltre scritto la prefazione del libro di Giuseppe Carlotti Unico Grande Amore. Storie di romanisti in trasferta.