Lo chiamavano Jeeg Robot: il primo film con un supereroe italiano
Enzo Ceccotti, è il nome comune di un ragazzo come tanti altri, cresciuto in una periferia romana disagiata; è solo, gli amici d’infanzia li ha persi tutti, portati via da dipendenze e passioni sbagliate; lui sopravvive disordinatamente a se stesso, si mantiene con mille espedienti e piccoli furti, nutrendosi di budini e trascorrendo il tempo “buttato” su una poltrona a vedere film porno.
La vita gli cambia d’improvviso, chiamandolo a responsabilità che non immagina e non vuole, quando, durante un “colpo”, viene a contatto con una sostanza chimica che gli accresce incredibilmente la forza, rendendolo invincibile, praticamente un “uomo d’acciaio”.
Lo chiamavano Jeeg Robot
Nello stesso tempo si aggrappa a lui, coinvolgendolo in un sentimento che non sapeva neppure di poter provare, Alessia, la ragazza della porta accanto, anzi del piano di sotto, per essere precisi: una giovane turbata da terribili esperienze di violenza domestica, alla ricerca del padre-padrone del quale comunque non può fare a meno, nel pieno rispetto del complesso rapporto che lega indissolubilmente la vittima al suo carnefice, e che vive in un mondo tutto suo, pieno di “signori del fuoco”, “ministri della guerra”, “spade alate” e, soprattutto, nel mito di “Jeeg Robot d’acciaio” del quale si porta sempre dietro il DVD, senza il quale non riesce neppure a dormire.
Proprio quest’incontro porta Enzo a vedere finalmente il mondo con altri occhi; a guardare oltre la perfidia, la violenza, il malcostume e le squallide figure che si aggirano nel suo quartiere, per trovare una sua dimensione, una sua ragione di vita: quella di mettere i suoi poteri al servizio dei più deboli.
Di contro si staglia nitido il personaggio dello Zingaro; altro malavitoso di periferia, che vive nel suo canile e si scontra con un potente clan partenopeo cui deve dei soldi. Lo Zingaro non ha nessuna intenzione di redimersi e non lo farà, anzi si impossesserà coscientemente degli stessi poteri di Enzo per organizzare una grande mattanza, intrisa di vendetta e voglia di attirare su di sé quell’attenzione che mai nessuno gli ha riservato.
Lo scontro tra i due, che culmina in un duello finale del quale non vi anticipiamo nulla, non è il classico conflitto tra il bene ed il male ma la lotta tra due coscienze, tra la consapevolezza acquisita con sofferenze e lacrime da una parte e la sprezzante volontà di affermarsi contro tutto e tutti, contro il mondo che lo ha messo ai margini, dall’altra.
Sullo sfondo e contemporaneamente in primo piano e parte integrante della storia, una Roma povera e sporca, un amore consumato in un camerino tra pianti ed abiti da principessa, una giornata alle giostre che riconcilia i protagonisti, ma solo per il tempo di un giro sulla ruota, con i sogni dei fanciulli che anche loro, un tempo sono stati…
Opera prima di Gabriele Mainetti, “Lo chiamavano Jeeg Robot”, presentato alla Festa del Cinema di Roma, è davvero un gran bel film, straordinariamente originale, che concilia nel miglior modo possibile la realtà nostrana con l’idea del supereroe tipicamente “made in USA”; non ci sono costumi sgargianti ed effetti sfavillanti ma uomini normali con i loro problemi esistenziali, le loro vite “rubate” e quella voglia di mollare tutto, autodistruggendosi, che spesso affligge quello strato sociale sempre più vasto e variegato che popola le nostre malridotte periferie.
Claudio Santamaria, Luca Marinelli, e la debuttante Ilenia Pastorelli, interpretano con intensità i loro ruoli calandosi con pienezza nelle loro parti e restituendo al pubblico, che si sente coinvolto e partecipe, tutte le emozioni che gli passano sottopelle, riuscendo con i loro dialoghi e la loro complicità, a far diventare credibile tutto quello che gli accade attorno, perfino quei poteri, così straordinari ed inverosimili.
Da non sottovalutare l’apporto di una colonna sonora composta da vecchie hits degli anni 80’ che si sposano perfettamente con le situazioni alle quali fanno da sottofondo, dalla prima Anna Oxa ad una Bertè all’apice del suo successo, fino allo scorrere dei titoli di coda, sui quali uno straordinario Santamaria si cimenta in una versione introspettiva e mistica di “Jeeg Robot d’acciaio”
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