In ricordo di Socrates il “taco de dios”
Domenica 4 dicembre segna una giornata triste per il mondo calcistico.
La morte all’alba di Socrates, colpito da un’infezione intestinale a 57 anni, ha segnato la domenica calcistica nell’immenso paese brasiliano, che si è chiusa con lo scudetto andato al Corinthians: proprio la squadra della quale il Doutor è stato idolo e simbolo per anni. Grazie al pareggio (0-0) a San Paolo contro il Palmeiras, il Corinthians ha così vinto il suo quinto titolo di campione del Brasile.
Ricordo ancora il gol dell’1 a 1 che il Dottore (laureato veramente in Medicina) fece in Brasile-Italia al nostro Dino Zoff, “un gol da vero campione, un gol che solo i grandi campioni sanno fare”.
A differenza di tutti i suoi connazionali quando gli si chiedeva del famoso 2-3 del Sarrià , Socrates non ha mai piagnucolato, pur essendone stato in qualche modo la quintessenza.
Il calcio da godere, da sambare, senza pensare al fatto che può bastare un pareggio, come quel pomeriggio sarebbe bastato.
Il calcio semplice, dove spalanca praterie un solo colpo di tacco: era la sua specialità. «La sconfitta delude, ma fa imparare molte cose. A differenza della vittoria, che ti fa sentire Dio e non serve a nulla. Non so se l’Italia meritò o no, poco importa. Il calcio non premia i più regolari, ma coloro che sanno approfittare delle occasioni».
Dotato di classe sopraffina e di grande carisma e personalità, fece un po’ di fatica ad affermarsi in Italia con la Fiorentina, ma il “ taco de dios” è sempre stato un idolo per la tifoseria Fiorentina anche perché aveva quello che altri giocatori non avevano “intelligenza calcistica”.
Con la maglia viola giocò dal 1984/85 giocando 25 partite e realizzando 6 gol. L’idolo brasiliano il cui vero nome era “Socrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira” tornò in brasile nell’86
e giocò fino al 1988.
La sua fu una vita esagerata, troppa birra, cachaça, sigarette, troppa passione e umanità, troppa rabbia per quello che nel mondo gli pareva andare storto, cioè quasi tutto.
Gli anni Ottanta in Brasile furono come il nostro ’68, epoca di speranze e utopie.
La dittatura era ormai moribonda, aveva smesso di torturare e ammazzare, ma i militari non volevano mollare il potere.
Nelle fabbriche della cintura industriale di San Paolo sorgeva la stella di Lula, il sindacalista arrabbiato poi diventato presidente.
Negli spogliatoi del Corinthians, la squadra dove militava, Socrates si inventava la «democrazia corintiana ». Era un curioso cocktail tra utopia, marketing e emulazione dall’estero.
All’indomito fumatore, bevitore e seduttore Socrates non piacevano regole, orari e ritiri, e guardava come modello agli arancioni dell’Olanda, quelli che per primi aprirono le porte alle mogli.
Altre regole di convivenza dovevano essere decise tutti insieme, basta con la dittatura dell’allenatore e della società. Infine la trovata di Washington Olivetto, il Socrates della pubblicità brasiliana: tutti in campo con la scritta «democrazia» sulla maglia e i numeri al contrario, per sollecitare le elezioni ai militari al potere.
Il bello è che funzionò, il Corinthians tornò al vertice del calcio brasiliano dopo anni di oblio. Per la democrazia politica ci volle qualche anno in più.
Ciao Dottore, ciao grande campione!!
Ciao Fab
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