Il Parma è fallito: un malinconico addio alla provincia vincente
Nei ricordi di bambino il Parma non rubava certo la mia attenzione; nelle figurine Panini di quei tempi, infatti, era rappresentato di solito con due immagini piccoline: quella del simbolo, o “scudetto”, spesso nemmeno argentato o dorato come succedeva per le formazioni di serie A e B, e quella della squadra, a volte con i soli 11 uomini schierati a centrocampo in una delle amichevoli estive o delle prime uscite ufficiali, a volte sul campo di allenamento a “rosa” completa.
Soltanto più avanti quelle magliette così curiose, bianche con croce nera sul petto, cominciarono ad ingrandirsi, guadagnandosi la “figurina” a coppia destinata ai calciatori della serie cadetta, fino ad arrivare, all’inizio degli anni 90’ alla prima e storica promozione in serie A. Erano, quelli, i tempi di Ernesto Ceresini alla presidenza e Nevio Scala in panchina: sulle maglie, sparita la croce, si evidenziano il giallo ed il blu e soprattutto fa bella mostra una scritta significativa per la città e per lo sport in generale: Parmalat.
Ottenuto il massimo palcoscenico nazionale Calisto Tanzi molla gli indugi e prende in mano le redini della società, affidandone la presidenza a Giorgio Pedraneschi. Al primo campionato arriva subito un bel sesto posto condito dalla qualificazione in Coppa Uefa e l’anno successivo i parmigiani conquistano il loro primo trofeo: grazie alle reti del “sindaco” Osio e di Melli battono la Juventus in finale e vincono la Coppa Italia.
Tanzi non bada a spese; il Parma resta una provinciale soltanto sulla carta ma compie investimenti da grande squadra ed i frutti si vedono: nel 1993 fa sua la Coppa delle Coppe superando l’Anversa nella finale disputata nel mitico Wembley; a segno ancora Melli, Cuoghi e Minotti.
Ormai il guado è passato; campioni del calibro di Zola, Asprilla, Crippa, Cannavaro, Buffon, Thuram, Crespo, Stoickov, Dino Baggio, Chiesa, Fuser, per citarne soltanto alcuni, si susseguono al Tardini senza soluzione di continuità e con essi una sequela di trofei cui manca soltanto lo scudetto e la Champions League.
Nel suo palmarès figurano 3 Coppe Italia, una Supercoppa italiana e 4 titoli internazionali: una Coppa delle Coppe, 2 Coppe UEFA e una Supercoppa europea. Dopo Milan, Juventus e Inter, il Parma diviene, e lo è tuttora, il 4° club italiano (e il 15° in Europa) nella Classifica Generale delle coppe calcistiche UEFA vinte.
In panchina negli anni ruotano Malesani, Sacchi, Ancelotti, Carmignani, Ulivieri, Prandelli e persino Passarella ed alla presidenza Stefano Tanzi, figlio del patron, succede a Pedraneschi.
Quando nel 2004 esplode improvvisamente lo scandalo Parmalat, che porta al crac del colosso agroalimentare, per il Parma si chiude definitivamente “la stagione dell’oro”, un periodo costellato da grandi colpi sul mercato, dall’alleanza con la Lazio di Cragnotti, rinsaldata di anno in anno da affari miliardari infarciti di valori gonfiati ad arte, dalle cosiddette “plusvalenze”. Grazie all’applicazione della “Legge Marzano” ed all’amministrazione straordinaria di Enrico Bondi, la società di calcio resta in piedi, seppure notevolmente ridimensionata; nel 2004-2005 con Beretta in panchina i gialloblù tornano anche in Europa raggiungendo la semifinale di Coppa Uefa.
Nel 2007 alla presidenza approda Tommaso Ghirardi, bresciano, che parte col piede giusto ma poi naufraga nei debiti, portando in pochi anni la società sull’orlo del fallimento. Pioli, Ranieri, Di Carlo e Cuper sono chiamati a gestire delle situazioni tecniche non certo semplici tanto che nel 2008 il Parma retrocede dopo 18 stagioni nella massima serie. Con Guidolin la risalita è immediata ed il successivo ottavo posto fa sperare nella rinascita. L’anno dopo, con Marino e poi Colomba in panchina, arriva la salvezza ma ormai il livello non sembra più destinato ad alzarsi.
L’impennata si ha nella stagione 2013-2014 quando Donadoni rilancia Cassano ed Amauri ed ottiene un’inaspettata quanto meritata qualificazione all’Europa League. In estate però il club, non in regola con alcuni pagamenti IRPEF, si vede negare la licenza UEFA.
E’ un campanello d’allarme serissimo che però in molti trascurano pensando ad una eccessiva severità delle organizzazioni internazionali. Durante il campionato 2014-2015, culminato con una nuova retrocessione, la situazione precipita e Ghirardi si dimette; alla Presidenza si succedono, anche per pochi giorni, numerosi imprenditori o sedicenti tali, chi per proprio conto, chi in rappresentanza di fantomatiche cordate, che puntualmente spariscono all’atto di concretizzare e monetizzare i propri impegni. E cosi, ieri, 22 giugno 2015, alla scadenza dei termini fissati dal Tribunale, non giungendo nuove offerte d’acquisto in sede d’asta, il club non viene iscritto alla Serie B, decretando definitivamente il fallimento della società.
In passato già tre volte era accaduta una cosa simile; tutti gli sportivi si augurano che anche stavolta il Parma sappia risorgere dalle proprie ceneri e tornare quella bella realtà “di provincia” ammirata nel periodo delle “sette sorelle”.