Il delitto di via Poma: Un caso infinito
27 marzo 2012 nel nuovo processo d’appello sull’omicidio di Simonetta Cesaroni la ragazza uccisa con 29 coltellate negli uffici dell’AIAG in via Poma, la nuova perizia smonta l’accusa e sembra scagionare l’ex fidanzato Raniero Busco condannato a 24 anni di prigione il 26 gennaio 2011.
Il delitto di via Poma
Secondo i periti le escoriazioni presenti sul seno sinistro delle vittima non sono segni di un morso. Il motivo è legato al fatto che l’arcata umana è decisamente più ampia delle due escoriazioni di cui non si può stabilire la natura.
Corrado Cipolla D’Abruzzo il Medico Legale che ha seguito la nuova perizia ha parlato di ricostruzione assurda e inverosimile mostrando in aula la foto degli atti in cui questo morso, secondo lui, poteva essere stato inferto soltanto da un criceto o da un cammello proprio per la posizione difficile in cui si trovava l’impronta dentaria.
Per le tracce ematiche e biologiche i periti hanno confermato che su tutti i campioni analizzati è stato individuato il Dna di Simonetta, su reggiseno e corpetto c’è invece la presenza di tracce di Dna di Raniero Busco e altri 2 uomini. Resta incerta l’ora della morte. Per i periti Simonetta era in vita fino alle 17.45 del 7 agosto. In primo grado si è ritenuto che l’orario del decesso potesse collocarsi “dopo le 17.15-17.30 e prima delle 18-18.30”.
In quel 7 agosto del 1990 Simonetta esce di casa per le 15.00 per recarsi presso gli uffici AIAG (Associazione Italiana Alberghi della Gioventù) di via Poma 2, quartiere Della Vittoria di Roma, gestiti da Salvatore Volponi dove svolgeva il lavoro di segretaria contabile. Salvatore Volponi aveva proposto a Simonetta di prestare lavoro come contabile in quegli uffici il martedì e giovedì dalle 16.00 alle 19.30.
Calcolando i tempi nel tragitto gli inquirenti sono riusciti a stabilire che Simonetta arriva in ufficio per le ore 16.00 e con il mazzo di chiavi dato da Volponi ha aperto il portone. Quel giorno l’ufficio è chiuso al pubblico e per le ore 18.20 Simonetta deve chiamare Volponi per aggiornarlo sullo stato dei lavori.
In quel pomeriggio l’ultima persona che ha sentito Simonetta è la signora Luigia Berettini che per avere informazioni sul lavoro chiama e parla con Simonetta verso le 17.35. Dopo quell’ora si perdono le tracce di Simonetta.
Verso le 20.00 Simonetta non torna in casa, alle 23.30 circa la sorella ed il fidanzato preoccpati si dirigono con Volponi e suo figlio presso gli uffici di via Poma 2, si fanno aprire dalla moglie del portiere e trovano Simonetta morta.
Le indagini stabilirono che Simonetta ha aperto al suo assassino ed è morta dopo essere stata colpita da un oggetto contundente oppure ha battuto la testa al suolo dopo essere stata colpita alle spalle; l’assassino però infierisce sul corpo con 29 colpi inferti da una lama bitagliente.
La maggior parte dei colpi viene inferta dal basso ventre al pube, gli abiti le vengono portati via assieme a molti effetti personali e non saranno mai ritrovati, le scarpe da ginnastica riposte ordinatamente vicino alla porta e le chiavi dell’ufficio che aveva in borsa portate via.
Simonetta 20 anni è stesa nuda con il reggiseno allacciato calato verso il basso e dei segni che sono ancora tutt’oggi oggetto di analisi e accuse: una ferita sul seno che sembra un morso ed una macchia di sangue sulla maniglia della porta d’ingresso della stanza dove è stata trovata morta.
Le altre stanze non presentano segni di colluttazione mentre nella stanza di Simonetta vengono rilevate tracce di sangue sulla tastiera del telefono ed un appunto su un pezzo di carta con su scritto “CE” , il disegno di un pupazzetto a forma di margherita ed in basso a destra c’è scritto “DEAD OK“. A lungo si speculerà su questo disegno e sul suo significato (si parlava a quel tempo di personaggi conosciuti in Videotel da Simonetta) finché il programma televisivo “Chi l’ha visto?” rivelerà, nell’ottobre 2008, che a fare quel disegno e a scrivere la frase DEAD OK fu uno degli agenti di polizia che intervennero la notte del 7 agosto in via Poma. Dopo aver disegnato e scritto sul foglio, l’agente dimenticò il pezzo di carta sulla scrivania dove c’era il computer da lavoro di Simonetta.
L’8 agosto la polizia comincia ad interrogare i 4 portieri dello stabile che dichiarano di non aver visto entrare ed uscire nessuno dagli uffici dell’AIAG, e che nessuno avrebbe potuto entrare quel pomeriggio nella scala B senza essere notato. Ecco allora che le indagini puntano il dito verso il portiere cinquantenne Pietrino Vanacore. Vanacore sparisce dallo stabile B e si assenta dalle 17.30 fino alle 18.30 orario dell’omicidio. Questo porta gli inquirenti a sospettare su di lui non solo per l’assenza di alibi ma anche per la presenza di sangue sui suoi pantaloni.
Pietrino Vanacore passa 26 giorni in carcere finchè viene scagionato sia perchè il sangue rinvenuto sui suoi pantaloni apparteneva effettivamente a lui (soffriva di emorroidi) e sia perchè il Dna del sangue ritrovato sulla maniglia della porta della stanza dove fu uccisa Simonetta non apparteneva a lui.
Il 9 marzo 2010, a 20 anni di distanza, Pietrino Vanacore è stato trovato morto in mare: si è legato ad un albero per una caviglia e si è gettato in acqua in località Torre Ovo, vicino Torricella, dove viveva da anni. Vanacore ha lasciato una scritta su un cartello: “20 anni di sofferenze e di sospetti ti portano al suicidio“. Il 12 marzo 2010 avrebbe dovuto deporre all’udienza del processo per l’omicidio della ragazza in cui compare come unico indagato l’ex fidanzato Raniero Busco.
Scagionato Vanacore le indagini si rivolgono verso Federico Valle, nipote dell’architetto Cesare Valle che risiede nel condominio di via Poma e secondo delle ipotesi accecato dalla love story tra il padre e Simonetta.
Il nome di Federico Valle viene fatto da un austriaco, Roland Voller, amico della madre del ragazzo, sconvolta perchè Federico il 7 agosto torna a casa sporco di sangue e con un taglio alla mano. I test del DNA però scagionano anche Federico Valle lasciando dubbi sui tagli alla mano e molte ipotesi da parte degli esperti, che ricostruiscono una scena secondo la quale Pietrino Vanacore, complice dell’omicidio, ha aiutato la famiglia Valle a pulire tutto per proteggere Federico e non creare scandalo.
Il giovane viene prosciolto da ogni accusa nel giugno del 1993 mentre Roland Voller viene accusato di essere un truffatore di professione.
Dopo il proscioglimento definitivo di Pietrino Vanacore e Federico Valle, nel 1995 la Procura di Roma comincia ad indagare, per via di una lettera anonima, sulla pista del Videotel: una chat line molto utilizzata negli anni 90′ attraverso un servizio simile ad internet. La pista fu quella che Simonetta avesse conosciuto il suo assassino attraverso la rete dandogli appuntamento per quel pomeriggio 7 agosto 1990. Altra testimonianza afferma che un utente di nome Dead era entrato in contatto con Simonetta affermando poi a tutta la rete di aver ucciso Simonetta. Ma anche questa pista si rilevò infondata, anche perchè il computer di Simonetta era solo di videoscrittura e non dava la possibilità di accedere ai servizi Videotel.
Altre piste alternative seguite subito dopo l’omicidio furono quelle che l’ufficio di via Poma sarebbe stato luogo di copertura per alcune attività dei servizi segreti italiani e e che l’omicidio fu opera della Banda della Magliana, perchè Simonetta aveva scoperto negli archivi della AIAG documenti segreti che attestavano i favori fatti dalla stessa AIAG ad altri enti edili a favore della Banda della Magliana con il benestare del Vaticano.
Naturalmente tutte piste successivamente abbandonate per mancanza di prove sufficienti, fino a quando nel 2004 i Carabinieri del Ris di Parma effettuano nuove analisi sul corpetto e reggiseno di Simonetta prelevando il Dna di 30 sospettati. Le tracce di saliva trovate sul corpetto e il reggiseno di Simonetta Cesaroni (che lei indossava quando fu uccisa) corrispondono solo al DNA di Raniero Busco (la polizia scientifica ha prelevato per sicurezza due volte il suo DNA e per due volte lo ha analizzato e confrontato: il DNA di Busco è emerso per 6 volte su entrambi gli indumenti). Raniero Busco diviene ufficialmente un indiziato per il delitto di Via Poma.
Nel 2007 Raniero Busco viene iscritto nel registro degli indagati per il delitto di Via Poma, con l’ipotesi di reato di omicidio volontario. Diventa formalmente un indagato. Viene analizzato anche il sangue trovato sulla porta della stanza dove fu uccisa Simonetta e anche da questa analisi emerse che gli elementi del sangue coincidevano con il Dna di Busco misto a quello di Simonetta. Due anni dopo emergono dalle analisi sull’arcata dentaria di Raniero Busco nuove prove che sembrano risolvere il delitto: la perfetta compatibilità tra i segni del morso sul capezzolo del seno sinistro di Simonetta Cesaroni e i denti dell’imputato.
Il 26 gennaio 2011 in Sentenza di primo grado: Raniero Busco viene dichiarato colpevole dell’omicidio di Simonetta Cesaroni e condannato a 24 anni di reclusione e al pagamento delle spese processuali e del risarcimento, in separata sede, delle parti civili.
Su Raniero Busco emergono anche delle lacune sull’alibi per il primo pomeriggio del 7 agosto ’90: dell’alibi non c’è traccia scritta in nessun documento investigativo dell’agosto 1990; nel 2005 Busco ha dichiarato di aver trascorso le ore del delitto assieme ad un suo amico, al quale stava riparando il motorino in una piccola officina sotto casa sua. Chiamato a dare la sua versione dei fatti, l’amico di Busco lo smentisce: il pomeriggio del 7 agosto 1990 non era nell’officina vicino casa Busco per la riparazione del motorino (questo episodio era successo il pomeriggio prima, il 6). Si trovava in una casa di cura per anziani a Frosinone, perché era deceduta una sua zia. Il teste mostra anche il certificato di morte della sua parente che dimostra la verità del fatto. Quel giorno incontrò Busco fuori da un bar del quartiere Morena solo tra le 19:30 e le 19:45, al suo rientro a Roma da Frosinone.
Il delitto di via Poma appare un caso che per troppi anni è stato segnato da errori gravi che hanno compromesso le indagini. Si sarebbero dovuti approfondire alcuni immediati elementi oggettivi: un delitto passionale, attuato da qualcuno che Simonetta conosceva bene. Tanto da avergli aperto la porta dell’ufficio, quel 7 agosto 1990. Oppure un delitto casuale, attuato da qualcuno che la vittima non conosceva, per ragioni istintive e niente più. In effetti non vi è alcuna certezza che l’assassino fosse conosciuto dalla vittima e questa resta solo una supposizione alimentata dalla stampa e dalle informazioni fornite da un personale tecnico poco competente.
È un’ipotesi che si fonda sulla mancanza di effrazioni della porta d’ingresso.
Il processo di secondo grado è stato aggiornato al 23 aprile prossimo per la requisitoria del pg Alberto Cozzella, il 26 e il 27 successivi la parola passerà alle parti civili e alla difesa.